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Rubriche > SANTI > SAN MASSIMILIANO KOLBE
SAN MASSIMILIANO KOLBE
Rubrica curata da Alba su 9/8/2011 (5109 Letto)


Legenda:      A 1

                     A 2

                     A 3





A 1                    SAN MASSIMILIANO KOLBE



                                        



Brevi cenni biografici




Nasce l’8 gennaio 1894 a Zdunska-Wola in
Polonia
da Giulio e Maria Dabrowska e battezzato col nome di Raimondo.



Bambino vivace, si sente dire dalla mamma "Che ne sarà di te!". 



Questa frase lo fa riflettere molto. Sogna la Madonna che gli mostra due corone e gli chiede di sceglierne una: una è bianca, e rappresenta la purezza, la castità e una è rossa, e rappresenta il martirio. Egli confiderà alla sua mamma che le ha scelte entrambe.



Diviene frate francescano e studia a Roma, dove, ancora studente, insieme ad altri frati, fonda la MILIZIA dell'IMMACOLATA nel 1917.

In Polonia fonda una citta detta dell'Immacolata, di cui è devotissimo, e si dedica con grandissimo impegno alla diffusione del Vangelo, utilizzando anche i mezzi moderni della stampa, della radio e del cinema.




Arrestato il 7 febbraio 1941, vive nelle condizioni più spaventose, sempre evangelizzando i compagni di prigionia, pregando anche col canto e sostenendo gli altri con estrema carità. Si offre per sostituire un padre di famiglia, scelto tra altri per essere inviato nella cella della fame e della morte.




Muore ad Oswiecim (Auschwitz) il 14
agosto 1941
, vigilia della solennità dell’Assunzione di Maria Immacolata in
Cielo.



Beatificato a Roma dal Papa Paolo VI il
17 ottobre 1971
, quando è presente  il vecchio Francesco
Gajowniczek, il sergente polacco, che deve la sua vita alla sublime offerta
di Padre Massimiliano. E’ commosso e felice di poter offrire una nuova, suprema
testimonianza al suo salvatore.

E' santificato
a Roma dal Papa Giovanni Paolo II, suo conterraneo, il               10 ottobre 1982
.  


A 2              CORONCINA DI SAN MASSIMILIANO KOLBE



                             CORONCINA DI SAN MASSIMILIANO KOLBE





La Preghiera inizia con la recita del MEMORARE, sul primo grano dopo la Medaglia, in ricordo dell’amore filiale che il Santo nutriva per l’Immacolata.



Ricordati, o pietosissima Vergine Maria, che non si è mai inteso al mondo che alcuno, ricorrendo alla Tua protezione, implorando il Tuo aiuto e chiedendo il Tuo patrocinio, sia stato da Te abbandonato.

Animato anch’io da tale confidenza, a Te ricorro, o MADRE, Vergine delle vergini, a te vengo e, pentito delle mie colpe, mi prostro ai Tuoi piedi a domandare pietà.

Non volere, o Madre del Verbo, disprezzare le mie suppliche, ma benigna ascoltami ed esaudiscimi. Amen



Sugli altri 14 grani, numero che ricorda il 14 agosto, giorno della morte di San Massimiliano, si recita la GIACULATORIA DELLA MEDAGLIA MIRACOLOSA, alla quale egli stesso aggiunse le ultime due espressioni. Si completa la GIACULATORIA con l’invocazione al Santo.



O Maria, concepita senza peccato, prega per noi che a Te ricorriamo e per quanti a Te non ricorrono, in particolare per i nemici della Santa Chiesa e per quelli che Ti sono raccomandati.



San Massimiliano Kolbe, prega per noi!



Con la Coroncina a San Massimiliano Kolbe vogliamo chiedere la potente intercessione di questo martire della carità, che ha dato la vita per restituire un papà alla sua famiglia.

Il Papa Giovanni Paolo II ha proclamato SAN MASSIMILIANO KOLBE Patrono di questi tempi difficili e Profeta della civiltà dell’amore.

Lo stesso san Massimiliano ebbe a dire che coloro che sono in Cielo, poiché sono liberi dalle preoccupazioni e dagli impegni terreni, possono lavorare con entrambe le mani e così aiutare tutti coloro che invocano la loro intercessione. Quindi con grande fiducia vogliamo pregarlo.



A 3

    Preghiera a SAN MASSIMILIANO per le Famiglie


San Massimiliano, dopo aver speso le tue energie per l’annuncio del Vangelo a tutti gli uomini, sotto la guida di Maria, ad Auschwitz hai offerto la tua vita affinché una famiglia non fosse privata dello sposo e del padre.

Per il tuo eroico martirio di carità, insegnaci che la Famiglia è un dono per il quale vale la pena di sacrificare noi stessi.

Tu hai trovato in Maria la fonte alla quale attingere le grazie per essere un coraggioso e fedele discepolo di Gesù.

Aiutaci ad accoglierla come nostra Madre per sperimentare la forza della Sua intercessione nel cammino della vita.

Sii con noi, San Massimiliano, e prega per le necessità della nostra famiglia.  Amen




     COMPENDIO DEL VOLUME "HO VISTO PADRE KOLBE"



                  DEL PADRE LUIGI MARIA FACCENDA

PADRE  LUIGI  MARIA  FACCENDA  –  “HO  VISTO  PADRE  KOLBE”

   (Pellegrinaggio di Padre Faccenda nell’autunno del 1969)

SCOPO:
visitare i luoghi, pregarlo, studiarlo, presentarlo come testimone delle virtù cristiane e religiose.

POLONIA – Confini incerti e discussi per secoli, spesso assoggettata a dominazioni straniere e a diverse culture e religioni. La religione cattolica resta sempre l’elemento unificatore. Nel 966 fu messa sotto la protezione del Papa e divenne una nazione libera tra gli stati europei. La Polonia cattolica è baluardo di fede contro la Russia zarista e ortodossa e poi comunista e contro il protestantesimo tedesco, come lo era stata contro Turchi e Mongoli.

1° LUOGO: PABIANICE – Il Parroco della chiesa di San Matteo fa da guida.

Luogo della nascita di Raimondo in via Kilinskiego n. 11

RAIMONDO: Ragazzo molto vivace, ostinato, impulsivo… «Non so che cosa diventerai un giorno…» (parole della Mamma Maria Dabrowska, spazientita per una delle sue numerose marachelle)

Scosso dalle parole della mamma, inginocchiato davanti all’immagine della Madonna Nera, riceve la visione: la Madonna gli presenta due Corone: una bianca (purezza) ed una rossa (martirio).

Confida alla Mamma:        «Le ho scelte tutte e due!».

Prime attività: lavoro in un negozio;       Studio del latino dal farmacista;

Missione compiuta dai Francescani Conventuali;     Vocazione religiosa;

Partenza per LEOPOLI – Studi ginnasiali;                Virtù promettenti;

Diviene presto “Fra Massimiliano”

2° LUOGO: ZDUNSKA-WOLA – Chiesa parrocchiale (folla di giovani e adulti alle lezioni di cultura religiosa)

Villaggio povero al tempo della nascita di Raimondo. Popolo di tessitori, di cui molti emigrati dalla Germania e dalla Cecoslovacchia. Andavano in città a ritirare la materia prima e poi lavoravano a casa tutta la settimana, chini sui telai per poter avere molta tela da portare a Lodz ai commercianti ebrei che li pagavano molto miseramente. Erano di grande fede ed innalzarono a Dio la chiesa parrocchiale. Qui fu battezzato il piccolo Raimondo.

3° LUOGO: NIEPOKALANÒW – Questo termine significa “Città dell’Immacolata”.  Individuato questo luogo come adatto a trasferire la stamperia della rivista dell’Immacolata, che si trovava a GRODNO, che era ormai incapace di contenere il complesso delle macchine e i grandi magazzini di carta, gli uffici, la redazione e le abitazioni, Padre Kolbe aveva piantato in terra tra le zolle paludose, a pochi passi dal villaggio di TERESIN, distante poche decine di chilometri da Varsavia, una statuetta dell’Immacolata, perché fosse Lei a prendere possesso di quel luogo.

Padre Kolbe, con alcuni frati arrivano sul luogo con badili, picconi e martelli ed iniziano a costruire alcune baracche. Padre Kolbe lavora e fatica come gli altri e con loro dorme all’addiaccio (ottobre 1927), benché la sua salute sia molto minata dopo la permanenza nel sanatorio di ZAKOPANE.

Quei frati non avevano nulla, se non un grandissimo entusiasmo e si mostravano contenti, felici e pronti a cantare. Sapevano di essere tutti dell’Immacolata.

Dopo dieci anni, nel 1937, Niepokalanòw non si riconosceva più: contava circa un migliaio di operai consacrati, tutti con miseri abiti rattoppati, ma al centro della città sorgeva il complesso editoriale a forma di H, che comprendeva redazione, biblioteca, tipoteca, reparto linotipisti, zincografia, gabinetti fotografici, tipografie, officina dei motori centrali, reparti di legatoria, spedizione e depositi. A fianco sorge la cappella e attorno ad essa la direzione generale, il probandato, il noviziato, le abitazioni dei religiosi, il refettorio, la centrale elettrica, l’infermeria con un ospedale capace di cento letti, il pronto soccorso e il gabinetto dentistico. Sparsi nella città si trovavano laboratori per falegnami, calzolai, sarti, officine per fabbri e meccanici, rimesse dei muratori, stazione ferroviaria, parco automobilistico e caserma dei pompieri.

Quando amore, intelligenza ed intuizione si fondono per lodare Dio e tentare la salvezza dei fratelli, diventano una forza a cui nulla può resistere.

Il Cardinale Carlo Wojtyla in un’omelia così presentò il Beato Massimiliano Kolbe ai polacchi: «Occorre sottolineare che egli costruì questo cantiere di lavoro da lui prescelto, in maniera progressiva e nello stile più moderno. Sapeva che per rendere efficace l’attività apostolica doveva servirsi di tutti i mezzi della tecnica moderna: era un uomo del suo tempo… Era il “Francesco del XX secolo”… e volle che il cantico delle creature, questo inno alla natura, fosse ripreso dall’intera opera dell’uomo: che nel cantico della natura si inserisse il cantico della cultura…».

A Niepokalanòw tutto parla di Maria e, trovando Maria si scopre anche Lui, l’uomo Massimiliano che, pur ammalato ai polmoni, si dà da fare fino, come lui stesso dice, a morire per l’Immacolata, animato da un amore di obbedienza assoluta sul modello del “fiat” della Vergine.

L’opera pur mastodontica della Città dell’Immacolata fondata sulla incredibile tiratura di tante riviste per ogni età potrà crescere e diventare un vero progresso solo se crescerà l’amore di tutti i frati coinvolti in questa attività.

La santità non è un lusso, ma un dovere! Scrupoloso osservante della dottrina della Chiesa e in tutto perfettamente obbediente, ha precorso i tempi andando incontro all’uomo con i mezzi più moderni ed ha precorso il Concilio con le sue intuizioni teologiche e con la sua devozione mariana. 

4° LUOGO: ROMA -  Il Beato Massimiliano fu grande nella tecnologia, ma anche uno dei più grandi contemplativi della nostra epoca.

Nel 1917 diede inizio alla Milizia dell’Immacolata, quando la Massoneria ritornava all’offensiva contro la Chiesa e il Vaticano.

Era certo che l’Immacolata, se avesse trovato dei figli fedeli al suo comando, non avrebbe ceduto il campo al nemico e avrebbe ottenuto strepitose vittorie.

Egli vide i bisogni della sua epoca e si diede tutto a questa opera, per condurre le anime a Dio per mezzo dell’Immacolata.

Si laureò in filosofia nel 1915 e, più tardi, in teologia. Crebbe alla scuola di Maria secondo la tradizione francescana. Si recava spesso a Sant’Andrea delle Fratte a meditare sulla conversione di Alfonso Ratisbonne. Pur malato di tubercolosi, Massimiliano porta avanti il suo programma e lo presenta ad una ristretta cerchia di fedeli. Essere strumenti docili nelle mani di Maria, usando ogni mezzo lecito: parola, stampa, medaglia miracolosa, azione, preghiera, esempio. Iscriversi alla Milizia Mariana per militare sotto la bandiera dell’Immacolata, portare la medaglia miracolosa e rendere quotidiana tra i militi la giaculatoria: “O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi e per quanti a voi non ricorrono, in modo speciale per i nemici della Santa Chiesa e per quelli che vi sono raccomandati”.

Il 16/10/1917 , vigilia della festa di Santa Margherita Maria Alacoque, furono poste le basi della Milizia, mettendo su un piccolo foglio il programma, poi firmato da tutti i presenti, che ricevono la Medaglia Miracolosa. Questo viene fatto di nascosto. 

La medaglia che Maria aveva consegnato a Caterina Labouré nel 1830LA MADONNA E LA MEDAGLIA MIRACOLOSA era per Massimiliano come un trattato di Mariologia, perché nelle due facciate egli scorgeva tutta la missione di Maria.

Dall’Immacolata Concezione alla Regalità sul mondo e alla sua Meditazione.

Ella ha collaborato strettamente col Figlio, quindi la devozione e la consacrazione al suo Cuore addolorato e immacolato ci portano al Cuore di Gesù.

Le 12 stelle attorno al Cuore simboleggiano le virtù cristiane.

La medaglia miracolosa era, per Padre Kolbe, un segno dell’amore materno di Maria e della sua potenza supplice. 

5° LUOGO: NAGASAKI -  Anche a Nagasaki ha costituito un centro di vita e di lavoro col nome di “Città dell’Immacolata”. Voleva che entrasse nel cuore di chi avesse conosciuto quel luogo il nome della Città dell’Immacolata. Gesù riportò la vittoria sul male e sul peccato per tutti gli uomini, ma in particolar modo per Sua Madre, nella quale la vittoria di Gesù si era manifestata fin dal primo momento.

Ella fu liberata dall’eredità dei progenitori: Ella fu Immacolata.

La vittoria ottenuta da Gesù Cristo sul peccato e sulle sue conseguenze si manifesta totalmente in Maria, modello per tutti coloro nei quali Gesù riporta questa vittoria.

Massimiliano proclama oggi al mondo intero il ruolo unico della Vergine, Madre di Dio, nell’opera di salvezza.  Madre del capo, è anche Madre del Suo Corpo, che è la Chiesa.

In Giappone mise in opera la sua creatività, lo slancio, il rischio e l’amore che accompagnavano la sua azione missionaria. Egli seppe mettere l’uso dei mass-media a servizio del Vangelo. Dove i cattolici erano in minoranza non si poteva fare a meno di trasmettere la parola scritta e di usare ogni mezzo per comunicare la verità. Gesù stesso ha dato alla Chiesa il mandato di proclamare il Vangelo e di portare la salvezza a tutti i popoli.

6° LUOGO: CRACOVIA -  Dopo il suo rientro in Polonia nel 1919 Padre Kolbe fu assegnato al Convento di Cracovia e incaricato dell’insegnamento. La gravità della sua malattia ai polmoni non gli permetteva di parlare in modo da farsi sentire da tutti, perciò fu allontanato dall’insegnamento e incaricato delle confessioni e di brevi prediche. Ma il suo male si aggravò sempre più con il rischio di emorragie, anche a causa della fame. Non gli furono risparmiate anche derisioni e il soprannome di “Marmellata” per il suo camminare lento e il suo parlare appena soffiato. Ma egli continuava anche con la sua flebile voce a parlare della Milizia.

Egli a Cracovia soffrì terribilmente, ma non lo fece vedere e, come Cristo sulla croce pregava per i suoi persecutori per attirarli a Cristo e all’Immacolata.

Ed ecco una data importante: martedì 7 ottobre 1919, festa della Madonna del Rosario, sei fratelli chierici col maestro Padre Keller segnarono il loro nome nel registro per le iscrizioni alla Milizia dell’Immacolata e chiesero anche la sua firma, come già appartenente alla Milizia di Roma.

In pochi mesi riuscì a pubblicare gli Statuti, tenne conferenze a persone di ogni età compresi bambini, studenti e soldati  delle caserme di Cracovia.

Si affaticò tanto che lo colpì una forte febbre, la tisi ebbe il sopravvento e dovette rimanere nella sua celletta su un pagliericcio madido di sudore con la sola compagnia di Santa Teresina e Santa Gemma Galgani. Si aggravò al punto da essere trasferito nel sanatorio di Zakopane.

La STAMPA e tutte le moderne invenzioni, come il neo-nato Cinema non sono per Padre Kolbe strumenti del nemico, ma opportunità da cogliere per la diffusione del bene. Conoscere bene i movimenti antireligiosi, i loro metodi e i loro effetti; trovare, se c’è, una parte di bene e impossessarsene per applicarla alla nostra causa. 

Con la Consacrazione all’Immacolata ogni persona acquista valore. Sorregge l’estremità di una catena sapendo che l’altra estremità è sorretta da Maria e questo l’assicura di fare una ascesa verso l’alto.

Non ci si accontenta più di un livellamento al basso, ma si diventa sale e lievito.

Padre Kolbe aveva impiegato tantissimi frati per il lavoro della stampa e per la diffusione della Parola del Vangelo. Egli vagliava i giovani che chiedevano l’ammissione e sui 300 circa che si avvicinavano annualmente, sì e no ne ammetteva 50. Occorreva una base spirituale veramente solida per essere ammessi.

Ai preti, invece, e a se stesso, chiedeva di essere preti a tempo pieno. Egli lo ha fatto tutta la vita ed è stato prete fino alla morte.

La consacrazione all’Immacolata e la presenza di un’anima ardente come quella di Padre Kolbe era capace di guidare e sostenere con umiltà, con fede, con slancio e creatività tutti gli iscritti alla Milizia.

Il Cavaliere dell’Immacolata, nel 1939 raggiungeva la tiratura di un milione di copie e il giornale quotidiano “Il Piccolo giornale” era destinato alle masse operaie e contadine.

Si può vedere come l’apostolato spirituale di Padre Kolbe abbia preparato la Polonia alla prova della seconda guerra mondiale, che le è costata sei milioni di morti.

Egli volle raggiungere tutta la gente mettendo a disposizione tutte le risorse della tecnica. Nel 1938 inaugurò una emittente radio e già pensava ad un aeroporto a Niepokalanòw.

I settecento frati operai che facevano lavorare le rotative e le linotypes lo facevano a gloria di Dio. Nella teologia del lavoro di Padre Massimiliano, le dimensioni orizzontali implicano la dimensione verticale, che passa attraverso la croce.

7° LUOGO: ZAKOPANE – La stazione di cura di Zakopane era nota in tutta la Polonia per l’aria anticlericale che vi spirava. Era senza assistenza religiosa. Padre Kolbe tra una emorragia e un’altra e negli intervalli delle arie cure a cui era sottoposto cominciò a frequentare gli altri degenti installando dialoghi con i giovani e con gli intellettuali, ottenendo molte conversioni. Si dedicava molto anche alle confessioni. Tra i più attenti ascoltatori aveva notato un giovane studente attentissimo ai suoi discorsi. Un giorno quel giovane si fermò per salutarlo, dicendogli che non si sarebbero più incontrati, perché la sua malattia aveva raggiunto ormai uno stadio irrecuperabile e avrebbe dovuto restare a letto. Il Padre gli promise di andare a trovarlo, ma egli replicò che sarebbe stato impossibile, perché era proibito andare a trovare gli ammalati gravi. Massimiliano seppe di lui che era ebreo di razza e di religione. Non si sa come, ma riuscì ad andare nella sua stanza e lo assistette nelle sue ultime ore. Lo battezzò, lo comunicò, gli impartì l’unzione degli infermi e gli mise al collo la Medaglia Miracolosa dell’Immacolata. Il giovane si mostrò felice, ma temeva l’arrivo della mamma, ebrea fanatica. Massimiliano lo rassicurò dicendogli che all’arrivo della madre egli sarebbe già stato in cielo. E così avvenne. La madre, vedendo la medaglietta della Madonna gliela strappò e riempì il sanatorio di urla, dicendo che gli avevano ammazzato il figlio e glielo avevano rubato. Accorsero medici, infermieri e ammalati e anche il direttore, il quale fissando Massimiliano gli gridò di non mettere più piede  nel sanatorio. Il Padre Kolbe replicò che nell’orario di visite sarebbe tornato, e così fece, organizzando anche con gli studenti un intero ciclo di discussioni apologetiche dall’esistenza di Dio fino alla divinità di Gesù.

Nella chiesa francescana di Cracovia avvenne un fatto prodigioso. Padre Kolbe si prostrò con fiducia quando un tipografo reclamava il pagamento del compenso per la stampa dei primi numeri del “Cavaliere dell’Immacolata”. In caso contrario non avrebbe più avuto i mezzi per la sua propaganda. Terminata la preghiera entrò un uomo, si avvicinò e depose sull’altare una busta: c’era il denaro sufficiente a soddisfare i creditori. La tiratura aumenta finché le tipografie di Cracovia non riescono più ad assumersi l’impegno della stampa. Padre Kolbe ottenne una macchina stampatrice di veneranda età, acquistandola dalle Suore della Misericordia di Legiewniki.

8° LUOGO: GRODNO – Pur nell’attività frenetica delle rotative, dei giornali e della radio, padre Kolbe seppe svolgere anche il ministero di Catechista. A Lososna, a tre chilometri da Grodno, Padre Kolbe, neppure trentenne, si recava due volte alla settimana per tenere lezioni di religione nella scuola dove era maestra Sofia Roszkowska. Il suo saluto era: «Che la Madonna Immacolata ci venga in aiuto!». Tutti subivano il suo fascino e gli alunni attendevano con ansia il suo arrivo. Il loro comportamento migliorava visibilmente. Egli aveva fatto allestire in ogni aula un altarino all’Immacolata dove i bambini portavano sempre dei fiori. Fondò nella scuola anche la Milizia dell’Immacolata di cui fecero parte tutti gli alunni e gli insegnanti. Introduceva gli insegnanti nel Rosario vivente e presiedeva di persona alle riunioni mensili che si tenevano a Grodno presso il Convento dei frati. Molte persone di Grodno preferivano la chiesa dei Frati a quelle più vicine per partecipare alla Messa di padre Massimiliano. Egli manifestava santità. Diffondeva il Cavaliere dell’Immacolata e il Piccolo Cavaliere ed organizzava esercizi spirituali per i giovani. Suscitava numerose vocazioni religiose. Egli possedeva in grado eroico le virtù dell’umiltà e della mortificazione. Era costantemente unito a Dio ed aveva una fiducia illimitata nella protezione dell’Immacolata. Aiutava e visitava i poveri e gli ammalati e invitava tutti a pregare per i peccatori, confidando nella loro conversione. 

La catechesi di Padre Kolbe è legata alla Parola di Dio e ha due momenti: la spiegazione e l’accettazione.

L’accettazione non deve essere passiva, ma, aiutata dalla vita che il Catechista sa infondere, deve incontrarsi con una disposizione aperta e sincera di coloro ai quali la catechesi è rivolta.

Non può essere un fatto puramente intellettuale, perché deve affondare le sue radici nell’esistenza stessa del cristiano, sia del catechista che del catechizzato.

Deve giungere in entrambi alla testimonianza della vita e raggiunge la sua piena dimensione quando l’ascolto della Parola e la testimonianza della vita si incontrano con l’azione di Dio nei Sacramenti.

Padre Kolbe, anche quando non celebrava più la Santa Messa, ha continuato a celebrare fino alla morte, in se stesso, il santo sacrificio. Nella sua vita ha realizzato il grande sacramento della nostra fede, che è l’Eucaristia.

9° LUOGO: PAWIAK – Padre Kolbe fu fatto prigioniero e internato nel carcere di Pawiak. Un giorno le SS prelevarono 320 detenuti e li costrinsero a salire sui vagoni merci di un treno che li avrebbe portati al Campo di sterminio di Oswiecim. Chiusi in quei vagoni, stretti peggio delle sardine in scatola erano tutti molto depressi e nessuno osava parlare per non manifestare il proprio stato d’animo. Appena il treno si mise in movimento, un prigioniero intonò un inno religioso e poi delle canzoni patriottiche: era Padre Kolbe che in quel modo portò un po’ di calma nel cuore dei compagni di viaggio. (Testimonianza del fratello Pallottino W. Swiesa, suo compagno di viaggio)

10° LUOGO: OSWIECIM - La tragedia di un nome: Oswiecim, o Campo della morte. Poteva contenere duecentocinquantamila prigionieri. Si contano circa cinque milioni di morti di varie nazioni. Il folle intento era quello di ottenere, nel mondo intero, il tipo umano perfetto.

La cella 18 parla ancora delle corone, quella bianca e quella rossa alle quali è andato incontro Padre Kolbe, la cui vita è stata un insieme di lavoro, di sofferenza e di amore.

Un giorno di fine luglio o inizio agosto del 1941, dopo il lavoro forzato, un prigioniero non rispose all’appello della sera. Per tre interminabili ore i prigionieri furono costretti a restare immobili sull’attenti, suddivisi in diverse file lungo i lati del piazzale, mentre con cani poliziotto veniva cercato il fuggitivo. Erano sotto il tiro di mitragliatrici puntate dalle torrette di guardia e sembravano scheletri viventi con addosso casacche a righe verticali. Era ormai scuro e il Capo del Lager, soprannominato Testa di Mastino, passeggiava avanti e indietro con le mani dietro la schiena e i suoi stivali ritmavano il tempo come un metronomo, mentre le pareti delle baracche ne rimandavano l’eco.

Il fuggiasco apparteneva al blocco 14 e i suoi compagni si chiedevano chi avrebbe dovuto pagare di persona per quell’evento. Alle ore 21 il Capo si fermò al centro del quadrato e gridò l’ordine di rompere le righe e iniziò la distribuzione della “brodaglia” preparata dalla cucina, ma agli uomini del blocco 14 non fu permesso di avvicinarsi, mentre lasciavano quel cibo davanti ai loro occhi, poi lo versarono lentamente in un canale di scolo, mentre ai prigionieri veniva la bava alla bocca. Tutti si ritirarono poi nelle baracche, ma nessuno nella baracca 14 riuscì a dormire, per il terrore di quello che sarebbe loro capitato. Era già successo in altri casi di fuga che venissero scelti dieci prigionieri da rinchiudere in un bunker sotterraneo, detto il bunker della fame,, sotto la baracca 13, dove erano state scavate alcune celle nude, senza finestre, senza pagliericci e senza latrine, dove erano stati lasciati morire di fame ad uno ad uno tra gli escrementi e i cadaveri dei compagni. Chi veniva introdotto in quel luogo era già considerato un sepolto vivo. I corpi poi venivano raccolti ogni giorno e bruciati nei forni crematori. Chi era ancora vivo, se chiedeva cibo, veniva preso a calci nel ventre, accompagnati da bestemmie.

A questo pensavano i prigionieri del blocco 14 in quella notte.

L’indomani mattina, una volta schierati tutti nel piazzale, fu dato l’ordine di marcia per tutti coloro che dovevano iniziare la giornata di lavoro forzato, mentre fu trattenuto il blocco 14, a digiuno dalla mattina precedente e costretti a stare sull’attenti, con la testa rapata, sotto il sole cocente, senza poter avere nemmeno un goccio d’acqua. Venivano presi da crampi e avevano la gola secca. Ogni mezz’ora qualche guardia della Gestapo si scagliava a caso contro uno o un altro dei prigionieri, percuotendolo selvaggiamente col calcio dell’arma, mentre da ogni parte le bocche dei mitra controllavano ogni reazione, pronte a colpire al minimo accenno di rivolta. Dopo alcune ore, qualcuno cominciò a stramazzare a terra svenuto e, se non rinveniva con le percosse, veniva trascinato per i piedi e gettato in un angolo. Col trascorrere delle ore gli svenuti formarono una catasta e ad alcuni l’arsura gonfiò mostruosamente il volto e le loro menti furono sconvolte. Ci fu una sosta di mezz’ora per un pasto che  “Testa di mastino” concedeva per far sopravvivere i prigionieri fino alla sera in cui avrebbe  scelto personalmente i dieci a cui infliggere il castigo del bunker della morte. Intanto li costrinse nuovamente all’attenti fino al tramonto. Così la catasta degli svenuti crebbe di ora in ora. Alle 18 rientrarono tutti dal lavoro forzato, passando sotto la cinica scritta: «Arbeit macht frei», che significa “Il lavoro rende liberi”. Si disposero come nel solito quadrato per l’appello. Il capo si pose a gambe divaricate di fronte al blocco 14 e nel campo ci fu un silenzio di tomba, mentre vari aiutanti lo affiancavano muniti di armi puntate. Dopo essersi goduto un po’ quel silenzio terrorizzato, gridò che il fuggitivo non era stato trovato  e che dieci di loro sarebbero morti nel bunker della fame e che la volta successiva sarebbero stati venti. I prigionieri del blocco 14 supplicavano Dio di morire, ma non in quel modo.

Passò in rassegna la prima fila, poi la seconda e la terza assaporando il terrore che vedeva nelle loro facce. Chiedeva di aprire la bocca e di mostrare i denti e svolgeva una sommaria visita che forse serviva solo per una massa in scena. Poi puntava il dito sul  numero della casacca dicendo:  «Questo qui!» e il suo segretario aggiungeva quel numero alla lista dei condannati, fino al completamento dell’elenco. I designati furono strappati dalle file e con la morte nel cuore salutavano: “Ci rivedremo lassù”, o “Do la mia vita per la Polonia”…

Poi un padre si mise a singhiozzare disperato: «Povera moglie mia, poveri figli miei, addio, addio!».

«Prendo io il suo posto!» 

Il numero 16670 uscì dai ranghi e si diresse con decisione verso il Comandante del Campo. Era un avvenimento incredibile e impensabile. La cosa incredibile è anche che nessuno osò sparare e il Capo fece un balzo indietro estraendo la sua P 38 dalla lunga canna. Gridò: «Alt!».

Un bisbiglio sommesso corse tra le file del grande quadrato: «E’ Padre Massimiliano Kolbe, il francescano di Niepokalanòw!». Era un polacco che si rivolgeva al “purosangue germanico”! Allampanato per la magrezza si tolse il berretto e, ponendosi sull’attenti di fronte al comandante del campo disse sommessamente in lingua tedesca: «Vorrei morire io al posto di uno di quelli.». Impressionato dallo sguardo sereno del prigioniero diafano e allampanato riuscì solo a rispondere: «Warum?» (Perché?). Prontamente rispose che era ormai vecchio e inutile. E alla richiesta «E per chi vorresti morire?» rispose che si sarebbe sostituito a quel prigioniero che aveva moglie e bambini e che ancora singhiozzava. «Ma tu chi sei?». «Un prete cattolico». Con tale risposta immaginava che il comandante non avrebbe esitato ad accettare la proposta, vista la considerazione di cui godevano i preti. «Accetto!» rispose il comandante con un ghigno che diceva tutto e sostituì col numero 16670 il numero 5659. Non si era mai verificato ad Oswiecim un caso simile e il campo era impietrito per lo stupore.

Là, in quell’occasione, nel cupo regno dell’odio, era esplosa la luce abbagliante di un atto di amore!

Era una sera di fine luglio 1941 e c’era un magnifico tramonto che si specchiava nelle lontane paludi: il cielo prese il colore liturgico dei martiri. Spogliati con addosso solo la camicia in fila indiana i dieci condannati venivano scortati verso il bunker; ultimo della fila era Padre Massimiliano, che mormorava una preghiera a Maria, ringraziandola di avere mantenuto la promessa per la quale sapeva di essere nato.

Nonostante le pareti spesse delle celle si udivano lamenti strazianti di altri venti poveri disgraziati già sepolti vivi da alcuni giorni e condannati a morire di fame e di sete.

Le SS della Compagnia di disciplina ordinarono di spogliarsi e Padre Kolbe ricordò in quel momento che anche Gesù era morto nudo sulla Croce e obbedì con tutto il suo amore. Furono spinti brutalmente dentro una cella buia e fu richiusa la porta togliendo ogni filo di luce e anche di speranza. E così ebbe inizio la loro dura agonia, come per tanti altri che li avevano preceduti e di cui nessuno seppe mai niente.

Ma quella volta ci fu qualcosa di diverso: un uomo sarebbe sopravissuto e avrebbe raccontato quel capitolo, il polacco Bruno Borgowiec, segretario, interprete e becchino nel bunker della morte.

Visitando quei luoghi si vedono enormi vetrine dove sono raggruppati occhiali da una parte, valigie da un’altra parte, poi grucce, bastoni per vecchi, spazzole per lavare, calzature di varie fogge, abiti laceri da carcerati, simili a pigiami a righe, cucchiaini, gavette…

Poi il corpo di guardia con un ritratto di Hitler con la scritta: “un Popolo, uno Stato, un Capo”. Poi c’era una stanza che fungeva da tribunale e un luogo dove i prigionieri attendevano il giudizio. La morte per fucilazione di fronte ad un muro rivestito di caucciù era ancora degna di un uomo, mentre la più ignominiosa era l’impiccagione. Poi c’era la morte che colpiva a tradimento: una stanza del colore giallo sporco delle latrine militari. Qui avveniva la decimazione, infatti dal soffitto quattro bocchettoni immettevano gas venefico. In pochi minuti si trovavano cadaveri e venivano trasferiti nei forni crematori da cui usciva una colonna di fumo. Quanti furono soppressi in questo modo? Si calcola in modo approssimativo che siano stati circa 70 – 80 al giorno.

Prima settimana di agosto 1941

Tornando ai dieci prigionieri del blocco 14, un’agonia lenta li spegneva uno ad uno. Alcuni erano morti presto e Borgowiec li aveva portati al forno crematorio. “Scendendo in quel bunker della fame dove si trovava Padre Kolbe,” egli racconterà anni dopo, “sembrava di scendere nella cripta di una chiesa, cosa mai avvenuta prima.

Da quella cella si udivano ogni giorno le preghiere recitate ad alta voce, il rosario e i canti religiosi, ai quali si associavano anche i condannati delle celle vicine, gli inni alla Santissima Vergine
”.

Borgowiec scendeva ogni giorno insieme con le guardie che eseguivano le visite di controllo e portava fuori i cadaveri dei morti. A volte scendeva di nascosto anche da solo per parlare con quegli infelici e per consolarli.

Vennero i giorni della fame disperata, ma non si verificarono le scene disperate che avvenivano solitamente, quando nelle vittime agonizzanti si scatenavano istinti beluini. Quando si aprivano le celle, i poveri infelici piangevano e supplicavano di avere un pezzo di pane e un sorso di acqua, ma le guardie sferravano loro dei calci nel ventre, mandandoli a stramazzare sul cemento. Se non morivano immediatamente, venivano inchiodati con un colpo di fucile. La disperazione li portava anche a bere l’urina del bugliolo.

Anche in quei giorni Padre Massimiliano Kolbe si comportò eroicamente. Non chiedeva nulla e non si lamentava. Faceva coraggio agli altri, invitandoli a sperare che avrebbero ritrovato il fuggitivo del blocco 14 e che avrebbero ottenuto di nuovo la libertà. 

Seconda settimana di agosto 1941

Gli ultimi aliti di vita stavano ormai spegnendosi anche nei pochi sopravvissuti e con voce sempre più fioca intonavano canti alla Vergine  Immacolata ed elevavano preghiere ormai sottovoce, come testimonierà Bruno Borgowiec, sempre presente alle visite delle SS alla cella. Egli afferma che quando tutti erano ormai distesi a terra privi di forze, Padre Massimiliano era in piedi o in ginocchio in mezzo agli altri con sguardo sereno. Sapendo che erano tutti innocenti e che egli aveva offerto la vita per un padre di famiglia, una guardia fece una volta questa osservazione: «Questo prete è davvero un galantuomo. Finora uno simile, qui, non l’abbiamo mai avuto».

14 agosto 1941

Suona il telefono all’infermeria e, dopo una breve comunicazione, il dottore risponde «Jawohl!» e, preparate quattro siringhe ripiene di acido fenico e un laccio emostatico, si dirige verso il bunker della fame dove, dopo un’assoluta mancanza di cibo e di acqua durata forse quattordici giorni, senza abiti e con un fetore insopportabile, dopo mesi di stremanti fatiche, coi polmoni bucherellati dalla tubercolosi, l’agonia di Padre Massimiliano non si è ancora spenta. La maggior parte dei compagni erano morti uno dopo l’altro ed erano rimasti solo in quattro. Gli altri tre da alcuni giorni non rispondevano più. Padre Massimiliano li aveva salutati uno ad uno, prima che si spegnesse la loro conoscenza, come aveva fatto con gli altri che erano morti prima. Li aveva salutati sorridente e li aveva accompagnati fino alle soglie dell’eternità con preghiere alla Vergine, la dolce “Mamusia”, che presto gli avrebbe consegnato la corona rossa che gli aveva promesso quando era ancora bambino nella chiesa di Pabianice. Ora poteva stare solo seduto con la schiena appoggiata alla ruvida parete di fronte alla porticina di ferro. Una nuova infornata di innocenti dovevano occupare quella cella, perciò bisognava vuotarla: il medico con le sue siringhe di acido fenico stava arrivando per eseguire le sentenze di morte.

Era il 14 agosto, vigilia dell’Assunzione della “Mamusia” Immacolata alla gloria dei cieli.

Una chiave girò nella serratura e una torcia illuminò Padre Massimiliano, nudo ed ischeletrito appoggiato alla parete, col capo un po’ inclinato a sinistra e col sorriso sulle labbra.

Gli altri tre, distesi sul pavimento e ormai insensibili, furono avvicinati uno ad uno dal medico che fece loro l’iniezione letale. Padre Kolbe, recitando sommessamente una preghiera porse lui stesso il braccio al carnefice e la scena fu talmente sconvolgente che Bruno Borgowiec, non resistendo alla scena, col pretesto di dover lavorare in ufficio, se ne andò.

Seppe che tutto era finito quando sentì rimbombare gli stivali delle SS sui gradini della rampa di scale che saliva dalla cella. Allora egli scese nella cella e trovò Padre Kolbe con la testa china sul fianco sinistro e gli occhi aperti come sempre e con la faccia serena e raggiante! Tutta la sua figura era come in estasi e gli occhi fissi su un punto. E’ stata la visione della sua “Mamusia” a lasciargli impresso nelle pupille un anticipo di Paradiso?

Tante persone hanno visitato e visitano quella cella. Anche Papa Giovanni Paolo II, polacco, si è inginocchiato là, dove Padre Kolbe incontrò la gloria del martirio, guardando negli occhi colui che lo stava uccidendo, mentre mormorava la preghiera a Maria. Il Papa ne parlerà poi nell’Omelia della Santa Messa celebrata al Campo di sterminio di Brzezinka, presso Auschwitz.

La vittoria che ha sconfitto il mondo è la nostra fede. (1 Gv 5,4)

La fede fa nascere l’amore supremo che è pronto a “dare la vita per i propri amici”. (Gv 15, 13)

Proprio in quel luogo costruito per la negazione della fede, sia della fede in Dio che di quella nell’uomo, e per calpestare non solo l’amore, ma ogni dignità umana, in quel luogo costruito sull’odio e sul disprezzo dell’uomo in nome di una folle ideologia, quel luogo al cui ingresso si leggeva l’iscrizione “Arbeit macht frei”, cioè “Il lavoro rende liberi” e dove invece i lavori forzati e le crudeltà si moltiplicavano a dismisura, proprio in quel luogo si manifestò la meravigliosa testimonianza di colui che la Chiesa ha proclamato prima Beato, poi Santo, San Massimiliano Maria Kolbe, che oltre ad offrire la propria vita, ha aiutato tutti i suoi compagni di martirio ad entrare nell’aldilà senza la disperazione che era la conseguenza logica del trattamento ricevuto. In quel luogo persero la vita circa quattro milioni di persone di diverse nazioni.

Altre vittorie della fede e dell’amore si sono avute in quel terribile luogo. Quella della Carmelitana Suor Benedetta della Croce (Edith Stein), che discendeva da una famiglia ebrea ed è morta in un forno crematorio.

Il Papa Giovanni Paolo II che tante altre volte aveva visitato la cella di San Massimiliano Kolbe, ha voluto ritornarvi come pellegrino da Papa,
per rendere testimonianza davanti al mondo di ciò che costituisce la grandezza dell’uomo dei nostri tempi e la sua miseria, di quel che è la sua sconfitta e la sua vittoria.

Egli si è soffermato davanti ad una lapide in lingua ebraica, un’altra in lingua russa, una delle tante in lingua polacca… ma, dice, ci si dovrebbe soffermare meditando davanti a tutte le lapidi. La Polonia ha perso circa sei milioni di abitanti, la quinta parte della intera nazione.

Il Rettore dell’Università Jaghellonica a Cracovia, Pawel Wlodkowic dice: “Dove opera più il potere che l’amore, si cercano i propri interessi e non quelli di Gesù Cristo, quindi ci si allontana facilmente dalla norma della legge divina…al diritto civile…  al diritto canoinico… al diritto naturale (Quello che vuoi per te fallo all’altro). Cristo ha proclamato il suo comandamento nell’amore del prossimo ed ogni uomo lo ha scolpito nel proprio cuore. Si tratta di rispetto dell’altro, della sua personalità, della sua coscienza, della sua dignità. Occorre riconoscere anche quanto c’è di buono e di positivo anche in chi ha idee diverse dalle nostre e anche chi, in buona fede, sbaglia.

11° LUOGO: CZESTOCHOWA - Padre Kolbe fin da fanciullo saliva ogni anno con la famiglia al Santuario e fu spesso consacrato alla Madonna. Egli, che tante volte si era trovato in questo luogo in mezzo a folle sterminate, apprese qui il culto alla Madonna, di cui diventerà dottore e cavaliere.

Il popolo polacco invoca l’aiuto della Madre per conservare la fede in Dio, nella Croce, nel Vangelo, nella Santa Chiesa e nel suo Pastore e si consacra al Cuore Immacolato di Maria e al Cuore di Gesù.

Queste sono le promesse del popolo polacco a Jasna Gora il 26 agosto 1956:

«O Regina della Polonia, rinnoviamo a te oggi le promesse dei nostri antenati e riconosciamo te come nostra Patrona e Regina del popolo polacco, mentre raccomandiamo alla tua particolare protezione e difesa noi stessi, come anche tutta la terra di Polonia e tutto il suo popolo.

Invochiamo umilmente il tuo aiuto e la tua misericordia nella lotta per conservare la fede in Dio, nella croce e nel Vangelo, nella Santa Chiesa e nel suo Pastore, nella nostra santa Patria avanguardia cristiana, consacrata al tuo Cuore Immacolato e al Cuore del tuo Figlio.

Ricordati, o Vergine Madre, al cospetto di Dio, del popolo a te devoto che brama di rimanere ancora nel tuo Regno, sotto la protezione del migliore dei Padri di tutti i popoli della terra.

Promettiamo di fare tutto quello che è in nostro potere, perché la Polonia sia veramente il Regno tuo e del tuo Figlio, sottomessa completamente al tuo potere nella nostra vita privata, in quella delle nostre famiglie, della nostra Nazione e della nostra società.

Madre di Divine Grazie, promettiamo di custodire in ogni anima polacca il dono della grazia, come pegno della vita Divina.

Desideriamo che ognuno di noi viva nella Grazia che santifica e sia il tempio del Dio vivente; che tutto il popolo viva senza macchiarsi di gravi colpe; che diventi la casa di Dio e la porta del cielo per le generazioni di coloro che vivono nella terra polacca, sotto la guida della Chiesa, in attesa di giungere alla Patria Eterna». 

ALCUNE TESTIMONIANZE RELATIVE A PADRE KOLBE


Padre Giorgio Domanski ci dice che Padre Kolbe è ricordato soprattutto per le circostanze della sua morte, mentre meno si sa del suo apostolato e della carità verso i compagni di prigionia.

Benché i nazisti abbiano cercato di distruggere ogni cosa al momento della loro fuga, i Polacchi sono riusciti a conservare quanto era rimasto degli orrori compiuti ad Oswiecim. La zona è una pianura punteggiata di pioppi. Il filo spinato circonda il campo e, all’ingresso, a grandi caratteri di ferro scuro spiccano le parole sacrileghe e beffarde: “Il lavoro rende liberi”.

Il fratello Pallottino W. Swiesa, suo compagno di viaggio, racconta che le SS prelevarono 320 detenuti dal carcere di Pawiak e li costrinsero a salire sui vagoni merci diretti al Campo di sterminio di Oswiecim. Stretti come sardine, tutti erano stati presi da una profonda amarezza e da un terribile pessimismo. Tutti tacevano, conservando per sé i propri sentimenti. Alla partenza del treno, si sentì intonare prima un canto religioso, poi dei canti patriottici. Quei canti e poi le parole di Padre Kolbe rasserenarono gli animi.

T. Stefanski scrive che nel 1941, quando Padre Kolbe giunse ad Oswiecim le condizioni del campo erano spaventose; erano ristretti in poco spazio come bestie, con una sola latrina per duemila prigionieri, attaccati giorno e notte da pulci e da pidocchi e ricoperti di sozzura e sporcizia. Ricevevano quotidianamente delle percosse. Le SS ammazzavano come si ammazzano le mosche e sparavano sui poveri prigionieri come su uccelli. Chi non moriva di fame, veniva ucciso con iniezioni di fenolo. Il tifo e altre malattie contagiose facevano strage di quei poveri innocenti carcerati.

H. Sienkiewicz

Padre Kolbe al suo arrivo fu destinato ai lavori pesanti e passarono la prima notte insieme nella cella 17. Vedendo che Egli non dormiva, ma pregava, lo consigliò di riposare un poco, per rifarsi delle botte ricevute a Pawiak e nel cortile al momento dell’arrivo. Il Padre gli rispose di riposarsi per poter affrontare l’indomani il pesante lavoro. Egli invece, che era ormai vecchio, preferiva pregare per i suoi compagni di prigionia.

Padre Kolbe fu destinato al comando di Bankof, che aveva il compito di selciare le strade e di ricostruire la muratura nei pressi del forno crematorio, trasportando materiale come sabbia, sassi e mattoni. I prigionieri venivano costretti a tirare velocemente carretti o carriole piene di questi materiali, altrimenti venivano bastonati.

Una volta Padre Kolbe spingeva correndo una grossa carriola con la ruota molto piccola, che era carica di sabbia. Sienkiewicz si offrì di aiutarlo, rivolgendosi a lui col nome di Padre. Un sorvegliante se ne accorse e, non sopportando questi onori, fece dare dieci bastonate a ciascuno, poi fece riempire la carriola di sabbia e impose al prigioniero di salirvi sopra. Padre Kolbe fu costretto a condurre la carriola. Poi viceversa fu Padre Kolbe a dover salire, mentre l’altro dovette condurla.

Durante questo faticosissimo lavoro Padre Kolbe suggerì al compagno di offrire la sofferenza all’Immacolata, anche perché quei barbari sapessero che essi erano devoti a Lei.

Ogni volta che Sienkiewicz incontrava Padre Kolbe, lo vedeva in pace e tranquillità e da lui emanavano sentimenti di bontà, mentre i suoi occhi erano pieni di umiltà e di amore. Nonostante l’abbigliamento fosse del tutto improprio, come quello degli altri prigionieri, da lui emanava la santità.

W Lawkowicz scrive che Padre Kolbe gli disse di essere fiero di essere cavaliere dell’Immacolata e di poter soffrire per Lei. Egli vedeva in lui “un asceta di Cristo”.

Prigionia al comando “Babice”

Il terzo giorno dopo l’arrivo dei prigionieri di Varsavia, tra i quali c’era Padre Kolbe, il comandante del campo Carlo Fritsch venne al blocco dei nuovi arrivati e chiamò tutti i sacerdoti, ordinando loro di seguirlo al comando “Babice”, dal quale si diceva che nessuno era mai uscito vivo. Li affidò a Enrico Krott, che era soprannominato ”il sanguinario Krott”, dicendogli di insegnare a lavorare a quei fannulloni parassiti.

Il campo distava 4 chilometri dal posto di lavoro dove i prigionieri dovevano tagliare la legna da trasportare a spalla in fascine di 70 – 80 chili per oltre cinquecento medri di strada pessima. Altri poi utilizzavano quella legna per formare una siepe attorno al prato pascolo. Il lavoro per tutti era faticosissimo e si protraeva per 14 ore al giorno, inoltre ricevevano crudeli bastonate se solo si fermavano un momento a prendere fiato.

Ogni sera trascinavano al campo, su barelle formate di rami, i cadaveri dei compagni che non avevano resistito a quel duro martirio. (L. Glowa)

Krott sfogava i propri brutali istinti soprattutto su Padre Kolbe, obbligandolo a trasportare sulle spalle due o tre fascine di legna, bastonandolo se rallentava il passo. Padre Kolbe non permetteva ai compagni di aiutarlo, perché non si esponessero alle repressioni e diceva loro che sarebbe riuscito da solo, perché l’Immacolata lo aiutava.

Se volevano sostituirlo, perché potesse passare in un altro campo, egli rispondeva che non gli importava della qualità del lavoro, ma gli interessava di fare la volontà del Signore. Inoltre era certo che l’Immacolata lo voleva dove gli uomini soffrivano maggiormente. Accettava tutto con serenità e anche sorridendo.

Il 15 giugno scrisse alla madre che tutto andava bene, che la sua salute era buona e che Dio è dappertutto e col Suo Amore divino pensa a tutto e a tutti. (W. Lewkowicz)

Egli trovava anche tempo per l’apostolato fra i suoi compagni. Questi ricordano in particolare due conferenze domenicali, una davanti al Blocco 15, tenuta sedendo su una carriola piena di sassi: il tema fu “Maria e la Santissima Trinità. (8 giugno 1941, festa della santissima Trinità)

L’altra nella domenica tra l’ottava del Corpus Domini (15 giugno 1941) in cui parlò della giustizia divina e del valore della sofferenza ed esortò al coraggio e alla perseveranza. Questo aveva sollevato gli ascoltatori nello spirito, facendo loro dimenticare per un po’ la fame e le sofferenze.

Padre Kolbe lavorò a Babice per due settimane e mezzo, ci racconta don Szweda. Sarebbe rimasto ancora di più se non fosse avvenuto questo fatto: il capo Krott aveva caricato Padre Kolbe di una quantità di legna molto superiore alla solita e gli ordinò di portarla al prato andando di corsa. Padre Kolbe durante il tragitto cadde più volte a terra ricevendo ogni volta una serie di calci al ventre e alla testa. Nell’intervallo meridiano, poi, fece stendere Padre Kolbe su una fascina e ordinò ai prigionieri più robusti di dargli cinquanta bastonate. Dopo questa tortura Padre Kolbe non riusciva ad alzarsi da solo, perciò egli lo trascinò in una pozzanghera e lo ricoprì con una fascina di legna. Qui sarebbe terminata la sua vita terrena, se i suoi compagni, vedendo che dava ancora segni di vita, non l’avessero portato all’ospedale del campo.

Aveva il naso rotto e il viso sanguinante. Un compagno di prigionia lo confessò nel cortile dell’appello. Quando gli chiesero se veramente lo avessero battuto al campo, egli non si lamentò, ma fece sorridendo un segno affermativo.

All’ospedale, nel Blocco 20, riscontrarono una progressiva polmonite e debolezza generale. Fu inviato al reparto malattie interne, poi, a causa della continua febbre, venne sospettato di tifo e inviato al reparto infettivo. Là soffrì molto, ma sopportò tutto con coraggio e piena accettazione della volontà divina, dicendo: «Per Cristo sono disposto a soffrire anche di più. L’Immacolata è con me e mi aiuterà».

Egli era severo con se stesso, mentre non lo era affatto verso gli altri.

Quando portavano le caldaie della minestra, tutti cercavano di servirsi per primi, ma lui non si affrettava mai, anche se a volte restava senza la sua porzione. Quando si vedeva solo acqua, si faceva avanti per servirsi di quell’acqua, mentre gli altri attendevano per cercare qualcosa di più buono nel fondo. Don Szweda, volendolo aiutare, gli portava a volte qualcosa di più sostanzioso, ma egli lo divideva con i compagni.

In ospedale diceva a Sienkiewicz, che lo andava a trovare, di essere contento di poter attirare alla Madonna i suoi compagni sofferenti. Gli chiese anche di rischiare, portando un po’ di cibo per loro, assicurandogli che lo avrebbe messo sotto la protezione dell’Immacolata, che l’avrebbe assistito in quest’opera di carità. Sienkiewicz iniziò così a portare un po’ di cibo e riuscì sempre senza avere fastidi.

Padre Kolbe pregava per i suoi compagni e intensificava il suo apostolato. Confessava e guidava preghiere in comune, incoraggiava e parlava dell’Immacolata. I compagni lo ascoltavano volentieri e gli si avvicinavano anche di notte, per avere consigli e conforto da lui. Il numero di coloro che venivano a confessarsi e a chiedere consiglio aumentava sempre. Sienkiewicz riuscì a portargli qualche particola ed egli lo abbracciò e lo baciò con immensa riconoscenza.

J. Stemler scrive che egli si era avvicinato al giaciglio di Padre Kolbe ed era pieno di odio e di ribellione per la situazione in cui si trovava ed egli lo confessò, lo incoraggiò e gli parlò della potenza e della misericordia di Dio ed egli ne fu sollevato e ricevette la forza di resistere. Imparò ad offrirsi alla Madonna nelle difficoltà, affidandosi a Lei come un bambino accompagnato per mano dalla propria madre.

Tutti riconoscevano in Padre Kolbe una figura speciale, ma questa sua popolarità e stima lo fecero cadere in disgrazia del Comandante Peter, il quale a volte veniva preso da attacchi di furia, durante i quali passava tra i letti degli ammalati fingendo di essere un medico e cercava gli studenti e le persone istruite per liberarsi di loro. Durante uno di questi attacchi, mandò fuori dall’ospedale anche Padre Massimiliano Kolbe.

Padre Kolbe si trovò quindi nel Blocco detto degli invalidi, dove venivano raccolti i convalescenti. Questi ricevevano la metà delle normali porzioni di viveri.

Padre Kolbe qui lavorò come pela-patate. Erano cira duecento persone con lui. Anche qui attirò le simpatie dei compagni, che gli si avvicinavano per ottenere un consiglio o un incoraggiamento. Egli li esortava alla confidenza in Dio e all’affidamento all’Immacolata. Il suo apostolato si allargava anche al di fuori del comando in cui lavorava. Di tanto in tanto egli radunava gruppi di prigionieri dei vari comandi in luoghi piuttosto appartati, intavolando con loro conversazioni amichevoli, esortando al bene, alla pazienza e alla piena fiducia in Dio. Pregavano insieme sotto la sua guida e qualche volta potevano ricevere da lui la Santa Comunione. Molti si accostavano a lui per essere confessati. Egli era un uomo forte e infondeva quella sua forza anche in coloro che lo ascoltavano. Frenava l’odio verso i persecutori ed aiutava a perdonare, invitava a sopportare il dolore con maggiore rassegnazione, ad avere coraggio ed a sperare nella liberazione. Esercitava anche gli atti di misericordia corporali, dividendo le scarse porzioni di cibo con i compagni. Faceva il segno di croce, anche se era proibito. Invitato ad entrare in ospedale, lasciò ad altri più giovani il posto, affermando che i loro familiari li aspettavano, mentre lui aveva offerto la sua vita per il bene del prossimo.

Nessuno assomigliò a lui nel campo di concentramento. Colpì il suo comportamento, e il morale del campo ebbe una scossa positiva. Si vide l’opera che l’amore vero realizza in un uomo che diviene capace di offrire la propria vita per gli altri.

Quando il Papa Paolo VI lo innalzò alla gloria degli altari, citò la frase che tante volte Padre Kolbe aveva pronunciato e che aveva ispirato tutte le opere della sua vita: «Solo l’amore crea!»

Ripeteva questa frase anche il Papa Giovanni Paolo II, suo conterraneo, quando parlava di lui.

Secondo l’esempio di Gesù, trascorse la sua vita facendo del bene. I suoi tre grandi amori furono Gesù, Maria e Francesco.

LA MAMMA, Maria Dabrowska


Una figura molto importante da ricordare è quella di Maria Dabrowska, donna intelligente, ricca di senso pratico e di grande fede. Era la Mamma di Padre Kolbe e di Alfonso Kolbe, altro figlio sacerdote, che morirà il 3 dicembre 1930, a causa della polmonite.

Ella era entrata nella Congregazione delle Suore Feliciane a Cracovia. Il loro nome deriva dalla devozione che avevano per il Santo Felice da Cantalice. Maria Dabrowska aveva educato i figli alla scuola della fatica e del sacrificio.

Da giovane pregava molto Dio e desiderava consacrarsi a Lui, ma era disposta ad accettare il volere del Signore. Chiedeva almeno un marito senza vizi. Il signore la esaudì, facendole incontrare Giulio Kolbe, con il quale ella formò una famiglia secondo il volere del Signore. Quando i figli furono già grandi, Maria, d’accordo col marito, si ritirò in convento, prima a Leopoli, poi a Cracovia tra le Feliciane.

Ella leggeva e meditava “Il segreto di Maria” del Monfort. Quando ella morì, una consorella, suor Anna, scoprì che nel suo giaciglio teneva nascoste dure discipline, con cui faceva aspre penitenze. Altre pagine importanti si possono trovare dove si tratta della sua missione in Giappone  e della prigionia a Pawiak (qui apparvero per Padre Kolbe gli inizi della sua corona rossa) prima di essere trasferito ad Oswiecim.

Egli accompagnava la sua attività con tanta preghiera ed estrema povertà.

In queste pagine viene presentato un frate, Fra Zeno, il quale andò in Giappone, invitato dallo stesso Padre Kolbe, e che ha vissuto là per oltre cinquanta anni ed ha potuto incontrare il conterraneo Karol Woitila, allora Cardinale, nel 1971 a Roma per la Beatificazione di Padre Kolbe e poi come Papa nel 1981, quando questi visitò il Giappone e volle incontrare proprio lui, Fra Zeno, quasi novantenne, ormai incapace di attività pratica e costretto alla carrozzella.

In occasione della sua visita in Giappone, il Papa Giovanni Paolo II pronunciò la seguente bellissima preghiera all’Immacolata.

«Essendomi concessa la possibilità di visitare questa casa, segnata com’è dalla memoria del Beato Massimiliano Kolbe, voglio attingere, in un certo senso, allo spirito di quello zelo apostolico che un tempo lo condusse in Giappone, e pronunciare le parole che quel figlio di San Francesco, vivente fiamma d’amore, sembra dirci ancora.

Queste parole sono indirizzate a te, Immacolata Vergine. Eri tu che Padre Massimiliano predicava; tu, scelta sin dall’eternità per essere la Madre del Figlio di Dio; tu, che non fosti neppure sfiorata da macchia di peccato originale, a motivo di questa santa maternità; tu, che divenisti sua Madre e Madre della nostra speranza.

Permetti che io,Giovanni Paolo II, Vescovo di Roma e successore di San Pietro, e allo stesso tempo figlio della stessa nazione del Beato Massimiliano Kolbe, affidi a te, o Immacolata, la Chiesa del tuo Figlio, la Chiesa che da più di quattrocento anni sta compiendo la sua missione in Giappone. Questqa è l’antica Chiesa dei grandi Martiri e degli inflessibili Confessori. E’ la Chiesa di oggi, che costruisce la sua strada, ancora una volta, per mezzo del servizio dei vescovi; per mezzo dell’opera dei sacerdoti, dei religiosi, frati e suore, siano essi giapponesi o missionari; e per mezzo della testimonianza dei laici che vivono nelle loro famiglie e nelle varie sfere della società, formando la loro cultura e civiltà ogni giorno, e lavorando per il bene comune.

Questa Chiesa è veramente il “piccolo gregge” del vangelo, proprio come i primi discepoli e confessori; il piccolo gregge a cui Cristo disse: “Non temere… perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno”.
(Lc 12, 32)

O Immacolata Madre della Chiesa, attraverso la tua umile intercessione presso il tuo Figlio, concedi che questo “piccolo gregge” diventi, di giorno in giorno, un più eloquente segno del Regno di Dio in Giappone!  Fa’ sì che, per suo mezzo, questo Regno risplenda di più viva luce nella vita del popolo e si diffonda fra gli altri, attraverso la grazia della fede e il santo Battesimo. Possa crescere sempre più forte per mezzo dell’esemplare vita cristiana dei figli e delle figlie della Chiesa in Giappone. Possa crescere forte nell’attesa della venuta del Signore, quando la storia del mondo si realizzerà nell’unico Dio.

Questo io affido a te, o Unica Immacolata, e questo io imploro da Cristo attraverso l’intercessione di tutti i santi e beati martiri giapponesi, e del Beato Massimiliano Kolbe, l’apostolo che tanto ha amato questa terra. Amen».

Mentre lavorava in Giappone, padre Kolbe già meditava di andare in Russia e in India, ma la sua salute era molto minata. Era colpito da dolorosissime emicranie e da gravi ascessi che gli impedivano ogni movimento. Visitò la Corea, Singapore, Batavia, nell’isola di Giava, ed Ernaculam nell’India, dove sognava il trionfo di Maria. Sognava anche di redigere la rivista della Milizia dell’Immacolata in lingua turca, persiana, araba ed ebraica.

Nel 1936 tornò a Niepokalanòw in pessime condizioni di salute, quando ormai iniziavano a partire da Berlino terribili nubi foriere di catastrofi, che si manifestarono dal 1° settembre 1939, quando la morte cadde a grappoli dal cielo. Anche Niepokalanòw fu colpita dalle bombe ed i frati dovettero abbandonarla.

Intanto Padre Kolbe aveva  provveduto alla costruzione di un’ottima stazione radio e contattò i migliori attori polacchi, per poter produrre su vasta scala dei film cattolici.

BEATIFICAZIONE il 17 ottobre 1971

Già il 15 ottobre un notevole numero di polacchi pieni di gioia sono a Roma per la Beatificazione di Padre Kolbe. Finalmente fuori dalla cortina di ferro e fieri di quell’uomo speciale che ha vinto l’odio dei campi di sterminio, proclamando ai tiranni di tutti i tempi la libertà dello “spirito”.

Padre Luigi Maria Faccenda, presente a Roma in quella circostanza, riflette sulla propria sequela di ormai 25 anni di quell’uomo speciale. Iniziò quando fu inviato come consulente della Milizia dell’Immacolata, fondata da Padre Kolbe. Egli credette subito nel suo messaggio, nella sua dottrina, nella sua santità, pur non sospettando che avrebbe potuto partecipare al suo trionfo.

In quei giorni, stampa, radio e TV parlano di lui, mentre si attende il giorno 17. La maggioranza dei messaggi però trascura la sua dottrina, limitandosi a riferire del gesto eroico che lo portò nel bunker della morte.

Padre Faccenda trovò, però, un interessante articolo pubblicato dall’Osservatore Romano, il cui autore era il francese Jean Guitton. 

Egli paragonava la sua prigionia di ufficiale francese a quella, ben diversa, di Padre Kolbe, deportato politico, che si trovava in un campo di morte.

Jean Guitton fu prigioniero per cinque anni e questo gli ha permesso di valutare l’eroismo di Padre Kolbe, sia nella pazienza quotidiana, che nell’olocausto finale. La sua santità consiste nella morte accettata per fede. Questo è il martire: preferire morire come testimone della fede, piuttosto che scendere a qualunque genere di compromesso, come ci insegnano i martiri della Chiesa primitiva, che rifiutavano qualsiasi sacrificio agli idoli. Il martirio, poi, non è un’improvvisazione degli ultimi istanti, ma rivela l’orientamento di tutta la vita precedente, illuminata dalla fede, perché nessuno improvvisa la propria morte.

La morte volontaria di Padre Kolbe, poi, non è solo guidata dalla fede, ma anche dalla carità. “Non c’è amore più grande di questo: che uno dia la propria vita per i suoi amici”. (Gv 15, 13)

Padre Kolbe non era in una condizione tale per cui avrebbe ricevuto critiche se non avesse affrontato il martirio, come avrebbe potuto avvenire per un soldato. Egli era solo e nessuno avrebbe potuto biasimarlo se non si fosse offerto di sostituire il compagno di prigionia che era stato scelto per il bunker della fame e della morte. Questo suo gesto è stato il compendio di tutta la sua spiritualità e di tutta la sua vita. Con gli occhi della Fede, quella era la sua corona rossa, la corona di gloria e l’anticamera del Paradiso, la certezza della felicità eterna. Era per lui anche il sorriso dell’Immacolata, di cui egli era stato il teologo.

La teologia di padre Kolbe prende l’avvio dalle apparizioni di Lourdes, in cui alla giovane Bernardetta, che le chiedeva il nome, la Vergine rispose che era “l’Immacolata Concezione” e non che era stata concepita Immacolata. Questo porta Padre Kolbe a vedere Maria in un particolarissimo rapporto con la Santissima Trinità, in cui il Padre e il Figlio, dandosi l’uno all’altro, “spirano” lo Spirito, a loro uguale, che chiude la loro eterna azione.

Il segreto dell’unità della vita di padre Kolbe sta in una luce in parte meditata e in parte infusa dall’Immacolata Concezione.

Ed ecco la grande giornata della Beatificazione, di fronte ad una immensa folla di italiani, europei e dei vari continenti: tedeschi, polacchi, giapponesi, africani, americani, spagnoli, francesi.

Il Papa Paolo VI illustra la figura  del martire, presentando la sua triplice caratteristica di apostolo, di sacerdote e di vittima. Esalta poi la sua spiritualità mariana con le seguenti parole:

«Massimiliano Kolbe è stato un apostolo dfel culto alla Madonna, vista nel suo primo, originario, privilegiato splendore, quello della sua definizione di Lourdes: l’Immacolata Concezione. Impossibile disgiungere il nome, l’attività, la missione del Beato Kolbe da quello di Maria Immacolata. E’ lui che istituì la Milizia dell’Immacolata, qui a Roma, ancora prima di essere ordinato sacerdote, il 16 ottobre 1917. Ne possiamo oggi commemorare l’anniversario. E’ noto come l’umile e mite francescano, con incredibile audacia e con straordinario genio organizzativo, sviluppò l’iniziativa e fece della devozione alla Madre di Cristo, contemplata nella sua veste solare (cfr. Ap 12, 1) il punto focale della sua spiritualità, del suo apostolato, della sua teologia. Nessuna esitazione trattenga la nostra ammirazione, la nostra adesione a questa consegna che il nuovo Beato ci lascia in eredità e in esempio, come se anche noi fossimo diffidenti d’una simile esaltazione mariana, quasi che le due altre correnti teologiche e spirituali, oggi prevalenti nel pensiero e nella vita religiosa, quella cristologica e quella ecclesiologica, fossero in competizione con quella mariologica. Nessuna competizione. Cristo, nel pensiero del Kolbe, conserva non solo il primo posto, ma l’unico posto necessario e sufficiente, assolutamente parlando, nell’economia della salvezza; né l’amore alla Chiesa e alla sua missione è dimenticato nella concezione dottrinale o nella finalità apostolica del nuovo Beato. Anzi proprio dalla complementarietà subordinata della Madonna, rispetto al disegno cosmologico, antropologico, soteriologico di Cristo, Ella deriva ogni sua prerogativa, ogni sua grandezza.

Ben lo sappiamo. E Kolbe, come tutta la dottrina, tutta la liturgia e tutta la spiritualità cattolica, vede Maria inserita nel disegno divino, come “termine fisso d’eterno consiglio”, come la piena di grazia, come la sede della sapienza, come la predestinata alla maternità di Cristo, come la Regina del regno messianico (Lc 1, 33) e nello stesso tempo l’ancella del Signore, come l’eletta a offrire all’Incarnazione del Verbo la sua insostituibile cooperazione, come la Madre dell’Uomo-Dio, nostro Salvatore. “Maria è Colei mediante la quale gli uomini arrivano a Gesù, e Colei mediante la quale Gesù arriva agli uomini”.

Non è perciò da rimproverare il nostro Beato, né la Chiesa con lui, per l’entusiasmo che è dedicato al culto della Vergine; esso non sarà mai pari al merito, né al vantaggio d’un tale culto, proprio per il mistero di comunione che unisce Maria a Cristo, e che trova nel Nuovo Testamento una avvincente documentazione; non ne verrà mai una “mariolatria”, come non mai sarà oscurato il sole dalla luna; né mai sarà alterata la missione di salvezza propriamente affidata al ministero della Chiesa, se questa saprà onorare in Maria una sua figlia eccezionale, e una sua Madre spirituale. L’aspetto caratteristico, se si vuole, ma per sé punto originale, della devozione della “iperdulia”, del Beato Kolbe a Maria è l’importanza ch’egli vi attribuisce in ordine ai bisogni presenti della Chiesa, all’efficacia della sua profezia, circa la gloria del Signore e la rivendicazione degli umili; alla potenza della sua intercessione, allo splendore della sua esemplarità, alla presenza della sua materna carità. Il Concilio ci ha confermati in queste certezze, ed ora dal cielo Padre Kolbe c’insegna e ci aiuta a meditarle e a viverle.

Questo profilo mariano del nuovo beato lo qualifica e lo classifica fra i grandi santi e gli spiriti veggenti, che hanno capito, venerato e cantato il mistero di Maria».

Poi il Papa, passando a parlare della sua offerta di vittima, ha detto che «il quadro della sua morte è così orrido e straziante che preferiremmo non parlarne, non contemplarlo mai più, per non vedere dove può giungere la degradazione inumana della prepotenza, che rende schiavi e porta allo sterminio di altri esseri umani: e furono milioni cotesti  a essere sacrificati all’orgoglio della forza e della follia del razzismo».

«Il nome di Padre Kolbe resterà fra i grandi, ha detto ancora Paolo VI, perché nell’ora dell’odio seppe dire la parola dell’amore che redime, e seppe perpetuare in sé la parola di vita, quella di Gesù che svela il segreto del dolore innocente: essere espiazione, essere vittima, essere sacrificio, e finalmente essere amore: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”  (Gv 15, 13)».

Il Papa poi conferma la grandezza del sacerdozio anche rispetto alla validità e agli impegni del celibato sacerdotale. Infine pronuncia parole di stima per la Polonia, di cui ricorda la sofferenza e a cui augura carità, fermezza nella fede e prosperità.

E’ presente, tra gli altri, il Cardinale Wyszynski, vicino al quale si trova il vecchio Francesco Gajowniczek, il sergente polacco, che deve la sua vita alla sublime offerta di Padre Massimiliano. E’ commosso e felice di poter offrire una nuova, suprema testimonianza al suo salvatore. All’offertorio egli porta il calice del sacrificio e si inginocchia di fronte al Papa, che lo abbraccia, fornendo un momento di grande commozione a tutta l’assemblea.

In quella stessa giornata, a mezzogiorno, apparendo alla finestra del suo studio, il Papa Paolo VI parla ancora del nuovo Beato di fronte ad una piazza gremita di pellegrini. Egli ricorda che il Beato Kolbe era polacco ed aveva studiato a Roma. Era devotissimo di Maria Immacolata ed aveva fondato la Milizia dell’Immacolata, che ebbe un grande sviluppo, alimentato da pubblicazioni molto diffuse. Aveva costituito un centro religioso moderno intitolato all’Immacolata, Niepokalanòw, sia in Polonia che in Giappone, prima della seconda guerra mondiale. E riferisce la frase che deve scolpirsi in ogni cuore: «Solo l’amore crea!». E’ parola che il Beato Padre Kolbe, alla scuola di Maria, ancora ci ripete.

I pellegrini, molto lieti ed arricchiti riportano nelle loro case un motivo di speranza e di ricchezza spirituale.

DECIMO ANNIVERSARIO DELLA BEATIFICAZIONE (18 ottobre 1981)

La Milizia, rinforzata dal riconoscimento da parte della Chiesa del suo Fondatore, continua il suo cammino in mezzo a tribolazioni e incomprensioni. Sale al soglio Pontificio Giovanni Paolo II, polacco devoto di Maria e Padre Kolbe. Sono trascorsi quaranta anni dalla morte di Padre Kolbe e dieci dalla sua Beatificazione. Nonostante la sua convalescenza, dopo l’attentato del 13 maggio, il Papa non può dire di no al Convegno straordinario della Milizia. Egli incontra gli oltre mille intervenuti, dopo l’Angelus, nella Sala Clementina. La Milizia era nata proprio a Roma nel 1917.

Il Papa illustra la vita e le opere di Padre Kolbe ed esorta tutti gli appartenenti alla Milizia a realizzare l’ideale di Padre Kolbe.

CONCLUSIONE

Nel suo ardore verso il supremo ideale della santità, Padre Kolbe scriveva:

«Non è superbia voler essere santi quanto più è possibile e santificare il più gran numero di anime, confidando unicamente in Dio attraverso l’Immacolata».

«Servire la verità, essere coerenti, tenere alto il senso di Maria vivendo, lavorando, soffrendo e morendo».

Ogni milite, vivendo la Consacrazione all’Immacolata, sa di essere simile a Maria e quindi di portare Cristo, sempre, come segno di contraddizione.

Offriamo la vita al Suo Cuore Immacolato con abbandono e fiducia, perché Esso trionfi presto in tutto il mondo.

Il 10 ottobre 1982 lo stesso Papa Giovanni Paolo II proclama Padre Massimiliano Kolbe, SANTO!









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